“Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, / Silenziosa luna? / Sorgi la sera, e vai, / Contemplando i deserti; indi ti posi. / Ancor non sei tu paga / Di riandare i sempiterni calli? (...) / Forse s'avess'io l'ale / Da volar su le nubi, / E noverar le stelle ad una ad una, / O come il tuono errar di giogo in giogo, / Più felice sarei, dolce mia greggia, / Più felice sarei, candida luna”
Così si apre e si chiude il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, XXIII canzone libera composta nel 1829 e inserita nell’edizione fiorentina dei Canti di Giacomo Leopardi del 1831. La poesia si apre con le domande retoriche che un pastore kirghiso rivolge alla luna, confidente muta delle sue angosce, alla quale confessa le ansie e i turbamenti sul senso della vita, e si chiude con il sogno di possedere quelle ali che lo possano avvicinare a lei, vedendolo volare oltre le nubi e il destino doloroso del viver quotidiano.
Quest’anno ricorrono, il 20 luglio, domani, i cinquant’anni dal primo allunaggio, con la missione Apollo 11; l’ultima con l’Apollo 17 fu nel dicembre 1972. Non c’era cenno alcuno di lirica poesia né idilliaca utopia nel programma americano ma aggressiva bramosia e compulsiva ambizione di supremazia nei confronti del nemico giurato. Nessuno pensa di festeggiare invece i centonovanta anni delle speranze e delle contemplazioni di Leopardi, scritte nei “sedici mesi di notte orribile” nella sua casa di Recanati. Eppure da sempre la luna suggerisce liriche e poesie, odi e canzoni, storie ed elegie, romanze e leggende che cantano di serenità, speranze, desideri, eccitazioni, chimere, fantasie e nostalgie di amanti, innamorati, folli e devoti registi e sognatori, scrittori e cineasti; non di egemonica dominanza o eccellenza tecnologica. Agli inguaribili romantici diamo appuntamento fra dieci anni. A Recanati.
Sergio Cappa