Il nome della rosa e quegli “oculi de vitro”, stupefacente invenzione

Nella fiction sul capolavoro di Umberto Eco, che ha debuttato lunedì scorso su Rai Uno con sei milioni e mezzo di spettatori, gli occhiali, anzi le lenti, come le chiama il protagonista (nella foto), sono al centro dell’avvincente thriller storico

“Ti voglio mostrare un’opera dei giorni nostri di cui mi onoro di possedere un utilissimo esemplare. Mise le mani nel saio e ne trasse le sue lenti che lasciarono stupito il nostro interlocutore. Nicola prese la forcella che Guglielmo gli porgeva con grande interesse: Oculi de vitro cum capsula! esclamò. Ne avevo udito parlare da un certo fra Giordano che conobbi a Pisa! Diceva che non erano passati vent’anni da che erano stati inventati (…) Credo siano stati inventati molto prima, disse Guglielmo (…) Io ne ebbi un paio in dono da un grande maestro, Salvino degli Armati, più di dieci anni fa”. Durante i Vespri del primo giorno all’Abbazia Guglielmo da Baskerville, il protagonista dello splendido romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco, incontra il maestro vetraio Nicola da Morimondo, che riesce a stupire mostrandogli il gadget sconosciuto e inventato da una manciata d’anni. In poco meno di una pagina l’autore, con somma maestria, condensa la probabile storia dell’invenzione dell’occhiale con i nomi dei possibili fattori e i plausibili luoghi della scoperta. Nulla di certo se non l’apparizione di una delle grandi rivoluzioni industriali, nata in una società a cultura orale ipoattivata e fatalista, magica e tribale, venata da un profondo e superstizioso misoneismo in cui la novità, o il miglioramento, vengono guardati con sospetto e spesso osteggiati ma che, senza poterlo prevedere, ha presentato alla Storia un rivolgimento sociale che ha potuto spostare le forze giovani alle armi, recuperando gli anziani alla burocrazia; ha supportato l’opera degli scriptorium benedettini, rendendo possibile l’Umanesimo prima e il Rinascimento poi. Una casuale creazione dell’estro italico, nata in una modesta fucina, sostenuta dalla povertà monastica, e oggi celebrato accessorio protagonista del grande capitale. Orgogliosa storia di un complemento da biasimevole e osteggiata futilità a geniale e prezioso supporto del nostro quotidiano.
Sergio Cappa

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