Mezza giornata dedicata agli errori commessi o che si possono commettere nella pratica optometrica, in ambito clinico o nella comunicazione all’ametrope, dai quali ripartire e come evitarli in futuro, per garantirgli soluzioni visive e un servizio all’altezza. Un’altra mezza giornata su come risolvere gli imprevisti che possono presentarsi, si tratti di un mancato adattamento alle lenti oftalmiche, per ragioni refrattive o di geometrie, oppure di lac da utilizzare nella vita di tutti i giorni o post chirurgia in cogestione con il medico oculista. Infine l’ultimo scorcio delle due giornate su come prevenire le complicanze, per quanto riguarda il drop out in contattologia ma non solo. Su queste tematiche era incentrato il Congresso nazionale 2024 della Società Optometrica Italiana, in una sala plenaria dell’Hotel Mediterraneo di Riccione costantemente gremita: i numeri sono parsi in linea con le previsioni degli organizzatori, circa 300 partecipanti complessivi, tra delegati, relatori e staff delle venti aziende sponsor.
«Sono passati quindici anni dall’ultima volta che abbiamo realizzato il nostro evento congressuale in questa località dell’Adriatico: era il 2009 e da allora la nostra professione si è modificata, mentre è rimasta immutata nel riconoscimento, nella regolamentazione e sostanzialmente nel rapporto con le altre categorie professionali - ha detto Claudia Colandrea, presidente uscente di Sopti, introducendo i lavori (nella foto) - Si può paragonare l’optometria alla musica classica, entrambe con un elevato livello di approfondimento ma incomprese da chi non è interessato o stimolato a conoscerle a fondo. Proviamo allora a essere un'orchestra, con questa grande direttrice che è Sopti, per migliorarci ogni giorno». Concetto ribadito anche da Pietro Gheller, tra i fondatori dell’associazione, che alla platea, composta in larga parte da giovani professionisti, ha ricordato come l’optometria «non è tanto un riconoscimento professionale, bensì fare bene quello che fate ogni giorno». E come Sopti incarni tale spirito. «Qui non esiste il presidente, esiste l’identità: in quasi trent’anni di attività abbiamo avuto ben quindici presidenti, non ci sono personalismi, ma la volontà di portare avanti un’identità culturale», ha sottolineato Gheller.
A.M.