Il suo multiculturalismo applicato all’abbigliamento le ha permesso di farsi conoscere in tutto il mondo: abiti etnici, spesso accompagnati da occhiali, le hanno consentito di emergere e di essere riconosciuta come la prima designer nera italiana. E ora la stilista di origini torinesi e haitiane ha lasciato un ulteriore segno con il discorso pronunciato in occasione della manifestazione del 7 giugno a Roma in memoria dell'afroamericano soffocato dal ginocchio di un poliziotto bianco a Minneapolis: una morte assurda che ha scatenato le proteste in America e in altre capitali europee
L’applaudito intervento di Stella Jean (nella foto, tratta dal profilo Instagram della stilista) nella manifestazione a piazza del Popolo di domenica scorsa non è stato un episodio di passaggio, ma un vero traguardo, con tutta la forza di una costruttiva rivoluzione. È finita l’epoca della moda avulsa dal contesto, dell’isola felice e stucchevole dove ci si concentra sulla ricerca del dettaglio shock, del colore per stupire e del rinnovarsi a tutti i costi. Conscia di essere in parte responsabile dei problemi del pianeta, la moda è sempre più attenta alla sostenibilità. Durante la pandemia ha dato e continua a dare svariate e concrete dimostrazioni di solidarietà. Eppure il breve discorso di Stella Jean è destinato a segnare un passo nella storia. Figlia di un italiano e di una haitiana, la stilista si è rivelata al mondo con una sfilata nel Teatro Armani. In un momento in cui l’etnico era decisamente superato, in coraggiosa controtendenza, ha portato sulla passerella i colori, i tagli, gli spunti di un vestire di paesi lontani. Sempre con elementi e accessori, come gli occhiali spesso presenti, del momento. Dietro alle sue collezioni un messaggio preciso. Fare conoscere le capacità artigianali, le lavorazioni, il talento creativo di persone meno fortunate. Ed è con la stessa determinatezza che davanti alla folla di piazza del Popolo ha raccontato in prima persona il dramma del razzismo e della discriminazione. «Non amo la ribalta, avrei preferito essere altrove», ha esordito. E in poche parole ha messo in evidenza l’orrore che a trent’anni di distanza i suoi figli debbano subire le stesse aggressioni che ha subito lei e ha incitato all’importanza di ripartire uniti. Nessuna retorica o vittimismo per un facile consenso, ma un fermo e prammatico appellarsi a quanto sancito dai nostri padri costituenti sull’uguaglianza dei diritti. Qualcosa di cui molti sembrano essersi dimenticati e non solo nell’America di George Floyd.