Se emerge avidamente l’inflazione da profitti

L’Italia e l’Europa stanno vivendo un momento cruciale del percorso inflazionistico iniziato nel 2022: pare in frenata ma non in netta discesa, per cui la Bce continua il rialzo dei tassi di interesse e c’è chi sconsiglia un adeguamento dei salari. Due azioni a tenaglia che normalmente non aiutano i consumi e la crescita

Il termine “inflazione da profitti” nasce in America. Secondo ilfattoquotidiano.it, “in passato l’economista ed ex consulente economico della Casa Bianca, Robert Reich, aveva esplicitamente parlato di una “inflazione dei prezzi da profitto”, in cui i prezzi sono spinti verso l’alto dalle società che cercano maggiori guadagni, approfittando della situazione”. Credo che anche noi consumatori abbiamo manifestato lo stesso sentimento nei negozi e davanti alle casse. I listini crescono coerentemente con l’inflazione e con i rincari delle materie prime oppure esiste una sorta di impulso che crea un mark up alle imprese, un guadagno che va oltre il recupero dei costi?

Alla domanda ha recentemente risposto uno studio inglese, rimbalzato da agrifoodtoday.it, con un titolo che dice già tutto: come i supermercati fanno profitti con la scusa dell’inflazione e della guerra in Ucraina. Si parla espressamente di avidità delle imprese. Una strategia che trova già la sua espressione: greedflation, dove greed significa appunto avidità. Tra i colpevoli dell’indagine britannica, il retail e l’industria. Sul primo, “figurano colossi dei supermercati come Tesco, Sainsbury's e Asda, che insieme hanno realizzato profitti combinati per 3,2 miliardi di sterline nel 2021, quasi il doppio dei livelli pre-pandemia”. Se prendiamo, invece, un’industria leader del settore alimentare come Nestlé “da sola ha intascato un utile netto di 13,7 miliardi di sterline, con un aumento di quasi 4 miliardi di sterline rispetto al 2019”. Dallo studio emerge inoltre che il cosiddetto patto con il consumatore, che tante pubblicità vantano, va più a vantaggio dell’azionista dell’impresa che non del consumatore stesso. Il tutto appare uno scenario estremamente complesso per chi compra, sottoposto a forti pressioni dall’alto e dal basso. La stessa Istat nel suo report di gennaio 2023 informa che “si stima una diminuzione del clima di fiducia dei consumatori (da 102,5 a 100,9) e un aumento dell’indice composito del clima di fiducia delle aziende (da 107,9 a 109,1)”. Un’altalena pericolosa.

Anche nell’ottica diverse aziende hanno recentemente adeguato i propri listini confidenziali alla crescita dell’inflazione e delle materie prime. Il retail non ha tuttavia manifestato segnali concreti ed evidenti di malumore. La mia sensazione è che l’aggiustamento dei prezzi al pubblico nel nostro settore stia diventando più un posizionamento strategico per il futuro: il segmento delle montature italiane, ad esempio, oggi sta mediamente lambendo la soglia dei 200 euro al cliente finale. I trattamenti delle lenti, con aumenti confidenziali anche oltre il 10%, tendono a testimoniare quanto siano importanti e non superflui nella composizione di una soluzione visiva. L’ottico deve comunque porre la massima attenzione a ciò che succede fuori e dentro il suo negozio: trovare il giusto equilibrio sul prezzo finale può portare a un successo d’impresa e di reputazione verso il suo bacino di utenza, così da fare in futuro la differenza. Soprattutto per chi ama la parola italiana coerenza e non il neologismo anglosassone greedflation.

Nicola Di Lernia

 

Formazione