Ognun per sé, Dio per tutti

L’obbligo di appendere un crocifisso nelle aule delle scuole primarie era previsto dal regio decreto n. 4336 del 15 settembre 1860 del Regno di Piemonte e Sardegna. Nel paese dei mille campanili quello del crocifisso sembrò allora una forma di nazionalizzazione dell’istruzione. Oggi molto è cambiato, anche nel commercio

Nell’attesa della celebrazione del Venerdì Santo mi è sorta una domanda dall’osservazione insolita dei negozi di ottica e non solo: dove è finito il crocifisso (nella foto, l’opera di Giotto, conservata nei Musei degli Eremitani, a Padova) che ogni attività commerciale nella mia infanzia esponeva alle spalle del banco di lavoro? Probabilmente al nostro crocifisso fu dato un primo scossone dal procedimento approdato a Strasburgo nel 2006 dopo una denuncia di una cittadina italiana di origini finlandesi che lo riteneva un’ingerenza a scuola, incompatibile con la libertà di pensiero dei figli. Altrettanto probabile che i format di arredamento degli ultimi vent’anni lo abbiano ritenuto inidoneo al nuovo mercato e al pubblico emergente.
L’Italia, almeno sul crocifisso, ha vinto la sua battaglia a Strasburgo. La Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’uomo nel 2011 ha assolto il nostro paese dall’accusa di violazione dei diritti umani per l’esposizione dei crocifissi nelle scuole. Nonostante ciò non c’è stata un’inversione nel mondo del commercio a tale riguardo. Neppure la rilettura del crocifisso attraverso un nuovo design ha aiutato l’imprenditore a riappenderlo. Eppure questo simbolo, oltre al suo messaggio originale, rappresentava per il commercio di una volta anche un “compagno di viaggio” nella propria impresa, un sostegno morale alle decisioni. 
Questo atteggiamento era un uso comune che i nostri mercanti medievali e rinascimentali riconoscevano a Dio attraverso il crocifisso. In qualsiasi avventura la figura divina era per il mercante un sostegno al superamento delle difficoltà che avrebbe dovuto oltrepassare per arrivare al successo. Gli stessi mercanti erano generosi con la Chiesa e i poveri proprio per compensare questa “protezione” che arrivava dall’alto. L’aver perso, magari solo per sbadataggine, questa consuetudine mi convince di come il commercio e le professioni in Italia si siano adattate a uno stile liberista dove le radici sono un obbligo, non un’opportunità. E proprio nel Paese in cui settecento anni fa è nato il commercio moderno.
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