L’ottica in 8 metri quadri

A Natale riponiamo le “pillole” tradizionali nel comodino. Oggi abbiamo bisogno di una storia che ci faccia sognare, riflettere e sperare in qualcosa di nuovo. Una storia come questa

Cosa ci faccio a dicembre in piazza San Pietro alle 10 di sera in compagnia di un immenso albero di Natale, di un presepe (nella foto) e una guardia svizzera con la sua Smart elettrica? Per sapere come inizia questa storia dovete percorrere una ventina di minuti tra la Roma dei ruderi e quella commerciale per raggiungere quello che per i romani è il luogo di aggregazione ideale: piazza del Popolo. Un paio di mesi fa ero seduto lì a sorseggiarmi un caffè al bar Canova e a gustarmi la passeggiata della gente. Come scriveva Charles Bukowski, “la gente è lo spettacolo più bello al mondo ed è perfino gratis”. Alzo il capo e sfuggo al sole romano ancora vivo di ottobre per cadere sopra alcuni caratteri lontani e familiari. Un’insegna di ottica, tradizionale, datata ma altrettanto viva che mi ammicca con affetto. Mi alzo, saluto il cameriere scocciato dai turisti e dalla vita e mi avvicino a quell’insegna e al suo negozio. Ci butto l’occhio e faccio presto a fotografarlo tutto. L’ottica in 8 metri quadri, mi viene da pensare: l’ufficio delle cose perdute, come quello della canzone di Gino Paoli. Dentro questo scrigno, all’angolo della piazza con via del Babuino c’è lui: l’ottico del Papa. Mi riconosce, mi accoglie e mi sorride. È felice di vedermi e subito esce con la mente da quegli 8 metri quadri e mi parla della sua piazza, della Chiesa degli Artisti dove posso vedere dei Caravaggio. Lo saluto, ritorno al ventre della piazza e mi giro più volte verso quella insegna per scoprire se è ancora lì o meno. “Sarai a Roma per Santa Lucia? È l’ottico del Papa che me lo chiede da un cellulare che fino a prima mi era sconosciuto. “Quasi”, mi viene da rispondergli, ma subito gli sorrido. “Vieni con me allora a salutare il Papa”.
Ecco, lo sapevo. Quell’ottica di 8 metri quadri era proprio il mio ufficio delle cose perdute dove ho lasciato il colore dei capelli, i pomeriggi corti d’inverno a giocare con un prete lavoratore, padre Luciano, le cui parole custodisco ancora nel cuore. Il Papa mi si avvicina, mi sorride, mi abbraccia. E il suo sorriso è la fotografia di quel padre Luciano. Forte, dolce. Mi emoziono. Mi volto verso l’ottico del Papa e lui mi sorride nuovamente come per dirmi: vedi, non avevi dimenticato. Non dimentichiamoci delle cose perdute. Perché sono quelle che custodiamo meglio di tutte.
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